Un soggetto fallibile (secondo la vecchia definizione) è colui che svolge un’attività commerciale superando almeno una delle tre soglie di fallibilità stabilite dall’art.1 della Legge fallimentare (D.R. 267/1942 e successive modificazioni). Inoltre, il soggetto in questione deve trovarsi in uno stato di prolungata insolvenza, ovvero non riuscire a pagare regolarmente i propri debiti. Tutta la normativa relativa al fallimento è stata sostituita con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza che, sotto il profilo formale, ha sostituito il termine “fallimento” con quello di “liquidazione giudiziale”.
Le vecchie soglie di fallibilità sono comunque state confermate e sono quelle che comportano l’assoggettamento alle procedure del nuovo codice, stabilendo che un soggetto è fallibile se:
- nei tre anni precedenti all’istanza ha un attivo patrimoniale annuo che supera i 300 mila euro;
- nello stesso arco temporale ha ricavi lordi annui superiori a 200 mila euro;
- nel momento in cui presenta la domanda ha debiti per un ammontare superiore a 500 mila euro.
Chi rientra in almeno uno dei casi appena visti, anche solo per un anno, è assoggettabile alle procedure del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, un iter attraverso il quale si cerca di soddisfare i creditori di un’impresa in crisi, nell’ambito di procedure definite “concorsuali”. La verifica del rispetto di queste soglie viene effettuata dall’analisi dei bilanci depositati, e/o da altre scritture contabili capaci di fornire dati economici e patrimoniali dell’impresa.
Torna all'indice del glossario